Le notizie storiche circa la vita ed il martirio di Ciro sono attinte fondamentalmente dalla ricerca storica del salesiano Don Ciro Cozzolino, frutto di un dottorato in storia ecclesiastica presso la Pontificia Università Gregoriana.
Ciro nacque nel secolo III ad Alessandria d’Egitto. Il suo nome, Ciro, dal persiano Kurus, significa «colui che è potente e forte». La tradizione vuole che esercitasse la professione medica e ad Alessandria fino al sec. VII era ancora presente l’ambulatorio dove egli esercitava. Mediante la sua professione di medico riuscì a convertire molti pagani. Dovette rifugiarsi nel deserto a causa della persecuzione scatenata dall’Imperatore Diocleziano e qui condusse una vita da eremita dedicandosi alla preghiera e alla penitenza. Continuò, però, ad accogliere il popolo che si rivolgeva a lui per essere guarito nei suoi mali fisici e morali, ed non potendo più farlo attraverso gli strumenti della medicina, ricorreva alla forza dell’intercessione.
La sua fama di taumaturgo si diffuse, così, per tutto l’Egitto e oltre. Seguì il suo esempio anche Giovanni, un giovane soldato, che abbandonata la vita militare, si ritirò con lui nel deserto condividendone la vita da eremita.
Intanto, la persecuzione cominciata con Diocleziano continuò ancora sotto Massimino, Cesare della Siria e dell’Egitto. Sotto questo imperatore fu martirizzato Ciro con il suo discepolo Giovanni.
Era il 31 gennaio del 30313, anno 9° del consolato e 19° dell’impero di Diocleziano.
Ecco, secondo le fonti, come sarebbe avvenuto il loro martirio: «Ai due santi, nell’eremo, giunge notizia che nella città di Canopo alcune “Sante Vergini”, delle quali Sofronio nelle “Laudes” ci riferisce i nomi e l’età, Teotista di 15 anni, Teodora di 13 ed Eudossia di 11, erano state arrestate con la loro madre Atanasia, perché cristiane, durante il tempo in cui Siriano era prefetto della città e Cassiano sacerdote degli idoli. Temendo che la minaccia
dei tormenti intimidisse quelle donne, i due monaci si recarono in città per sostenerle nella loro fede e nella loro testimonianza. Il governatore comandò allora che venissero posti agli arresti anche i due santi. Nel tribunale, durante il processo, egli tenta di corromperli e di indurli all’apostasia con promesse di ricchezze e di onori. Vistili irremovibili li sottopone ad ogni genere di crudeli tormenti (minutamente descritti nelle due “Vite “attribuite a Sofronio). Poi è la volta delle quattro donne, che resistono coraggiosamente alle torture, finché il tiranno le fa decapitare. Poco dopo la medesima sorte è subita dai nostri due
santi». I resti mortali, sottratti da mani pietose, vennero riposti nel tempio di S. Marco ad Alessandria.
Il lungo cammino che le reliquie di San Ciro hanno fatto per giungere fino a Portici è scandito da quattro traslazioni: da Alessandria a Menuthis, da Menuthis a Roma, da Roma a Napoli e da Napoli a Portici.
Intanto a Napoli, al Gesù Nuovo, sotto la dominazione spagnola (1676- 1716), S. Francesco De Geronimo andava diffondendo la devozione a S. Ciro, forte della esistenza e della protezione delle Sante Reliquie. Durante il quarantennio della sua missione nel territorio napoletano (1676-1716), il de Geronimo fu un apostolo instancabile della devozione al Santo alessandrino. Infatti, afferma Ciro Cozzolino che: «È merito proprio del De Geronimo non solo l’aver introdotto e propagato il culto per il martire nella città natale, ossia a Grottaglie, ma anche di averlo ripristinato nella città di Napoli, portandolo ad una vetta tale, quale raramente si riscontra per altri santi; tanto che il popolo, a lui contemporaneo, riteneva che fosse stato lui il primo a introdurre la devozione a Napoli e dintorni».
S. Francesco de Geronimo nacque il 17 dicembre 1642 a Grottaglie (Taranto) e morì a Napoli l’11 maggio 1716. Il 20 marzo 1888 fu ordinato sacerdote a Pozzuoli dal Vescovo di quel tempo, Mons. Benedetto Sanchez de Herrera. Il 1° luglio del 1670 entrò nella Compagnia di Gesù e dall’anno successivo fino al 1674 predicò nelle città e nelle campagne del mezzogiorno d’Italia, specialmente nella diocesi di Otranto, ove operò molte conversioni.
Nell’estate del 1674 fu richiamato a Napoli, ove restò sino alla morte, avvenuta l’11 maggio 1716, sempre impegnato nelle missioni popolari. Il 2 maggio 1806 fu beatificato da papa Pio VII e canonizzato da Papa Gregorio XVI il 26 giugno 1839.
De Geronimo prelevò alcuni frammenti delle presunte ossa di S. Ciro, che furono rinchiuse in una teca d’argento che egli recò sempre con sé per applicarla agli infermi. Dal giorno in cui il De Geronimo si munì della reliquia del Santo cominciò il vero sviluppo del culto del martire alessandrino.
Da allora egli si fece apostolo infaticabile di tale devozione insieme con l’altra, a lui tanto cara, della “comunione generale” ogni terza domenica del mese, al Gesù Nuovo. Svolse tale apostolato non solo nella città di Napoli, ma anche tra le popolazioni dei “casali”, sparsi per la campagna napoletana e tra le città e le diocesi limitrofe.
Alla morte di S. Francesco De Geronimo, chi mantenne viva la devozione per S. Ciro a Portici fu il parroco don Giuseppe Moscatelli, così come si evince da due piccoli marmi, murati ai lati dell’altare, nell’Oratorio in sacrestia.
Negli anni 1763-1764 Portici fu colpita da una persistente siccità e conseguente carestia, seguita anche da una terribile epidemia. Fu allora che «D. Giuseppe Moscatelli, zelantissimo parroco della suddetta Real Villa di Portici,morto nel 1774 in buon odore di virtù, essendo stato anni avanti allacennata epoca liberato da un grave pericolo di morte per la intercessione di S.Ciro, dettesi tutto a propagar nel distretto di sua cura parrocchiale il culto delglorioso Martire», e invitò la popolazione di Portici a rivolgersi a S. Ciro“medico” per ottenere la fine del flagello. Probabilmente, fu proprio durantequel periodo funesto che le reliquie di parti del cranio del Santo furono portatenella cittadina di Portici. La reliquia fu posta sull’altare della navata di sinistra. Su quello della parte del vangelo si legge: Francesco De Geronimo s.i. – propagatore della devozione di S. Ciro in Portici – secolo XVIII. Su quello da parte dell’epistola si legge: Parroco Giuseppe Moscatelli – promotore del patronato di S. Ciro in Portici 1776.
Ottenuta la grazia, i Porticesi pensarono di far costruire una statua in onore del Santo che li aveva salvati dalla morte. L’incarico fu affidato allo scultore napoletano Ferdinando Sperandeo. Tale statua è quella posta sull’altare della Cappella del Santo, e tutt’oggi venerata.
Inoltre il parroco Moscatelli «decise di anco di far dichiarare S. Ciro Patrono, e Tutelare di Portici, ma la morte ne lo impedì.
Successivamente, con una petizione generale di tutto il popolo porticese si avanzò regolare istanza per ottenere la proclamazione ufficiale di S. Ciro a Patrono principale di Portici. E ciò avvenne con decreto del papa Pio VI il 16 luglio 1776, durante l’episcopato dell’Arcivescovo di Napoli Serafino Filangieri (1776-1782). Il desiderio del serafico parroco era esaudito, ma egli dal cielo contemplò più gioiosamente la gloria di S. Ciro patrono della sua Portici: era morto il 6 agosto 1774. L’evento è ricordato da una lapide posta nel vano della porta d’ingresso della sacrestia.
La devozione per S. Ciro è sempre viva nel popolo porticese. Si continua infatti, a celebrare con grande solennità e con grande concorso di popolo la festa del martire il 31 gennaio e la prima domenica di maggio in cui si svolge la tradizionale processione con la statua del Santo. Inoltre, in tante le famiglie porticesi il nome di Ciro viene imposto nel Battesimo a qualcuno dei suoi componenti e chi visita la parrocchia di Portici trova spesso devoti in preghiera davanti all’altare del Santo patrono, che continua a concedere grazie, come è dimostrato dai numerosissimi “ex voto che tappezzavano”45 i due lati dell’altare del medesimo Santo.